L’avventurosa storia dell’uzbeko muto, Sepúlveda mon amour

Pubblicato il 17 marzo 2025 alle ore 13:44

“Le storie non appartengono a chi le racconta, ma a chi le ascolta e le fa proprie.”

E Sepúlveda lo sapeva bene. L’avventurosa storia dell’uzbeko muto non è un romanzo classico, ma un insieme di racconti, un intreccio di vite, aneddoti e leggende che scivolano una nell’altra. Il titolo? Beh, è tratto dal racconto che, a mio parere, è il più bello di tutta la raccolta. E no, non ci sono certezze. Meno che mai sul protagonista, che non è né uzbeko né muto.

Leggere Sepúlveda è come sedersi accanto a un nonnino vicino al camino. Sai già che alcune storie le hai sentite mille volte ma non importa: le ascolti lo stesso, con gli occhi sognanti e pronto a dissetarti con le sue parole. C’è sempre un dettaglio nuovo, un soffio di malinconia o un sorriso improvviso che ti coglie di sorpresa. E c’è sempre, in sottofondo, la nostalgia di un tempo in cui la rivoluzione sembrava possibile, in cui i cambiamenti erano nell’aria e sembrava bastasse crederci davvero per cambiare il mondo. È un libro per sognatori e rivoluzionari, per chi ha ideali da inseguire e per chi sa che anche una piccola fiamma di speranza può accendere il buio.

Ma veniamo alla trama o, meglio, alle trame. Si parte da una barca che solca il Rio delle Amazzoni e si passa per le voci di marinai, rivoluzionari, truffatori e avventurieri. Si viaggia per terre lontane e tempi sfocati, dove il confine tra realtà e leggenda è sottile come un filo di ragnatela. E come sempre, tra ironia e nostalgia, Sepúlveda ci regala il suo sguardo poetico su un mondo che cambia, ma in fondo resta sempre uguale.

Un libro da leggere con calma, assaporando ogni pagina, magari con una tazza di tè e la voglia di perdersi in un altro tempo. Perché, alla fine, è proprio questo che fa Sepúlveda: ti porta altrove, senza bisogno di biglietti o valigie. E ti lascia addosso quella dolce malinconia di chi ha viaggiato tanto ma non smetterà mai di cercare.

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