Le libraie di Kichijoji, altra capatina in Giappone

Pubblicato il 8 maggio 2025 alle ore 09:30

Ho scelto di leggere questo libro per due motivi. Primo, il titolo. Le libraie di Kichijoji suona già come un invito a perdermi tra scaffali pieni di storie, odore di carta e tazze di tè. Secondo, la mia cronica voglia di Giappone. Quella che ritorna ciclicamente, con o senza valigia pronta, ma che ultimamente si fa sentire più forte del solito (colpa della realtà, diciamolo).

E allora via, mi sono lasciata portare da Aono Kei in questo angolino di Tokyo chiamato Kichijoji. Scopro così che Kichijoji è uno dei quartieri più amati della capitale. È dove i tokyoiti sognano di andare a vivere: pieno di vita, caffè indipendenti, botteghe, librerie piccole e curate, e uno dei parchi più belli della città, l’Inokashira Park, con tanto di laghetto e barchette a forma di cigno. Insomma, un posto in cui potrei (sogno alert) aprire anch’io una libreria e vendere romanzi europei tradotti in giapponese.

Ma torniamo al libro.

La storia è semplicissima, quasi piatta, ma in senso buono. Due donne – una più posata, l’altra decisamente meno – si ritrovano a lavorare insieme in una libreria indipendente. Tutto qui. Non aspettatevi grandi sconvolgimenti, rivelazioni familiari o amori sofferti. Eppure mi ha conquistata. Non per la trama ma per l’atmosfera. Aono Kei ha saputo cogliere i dettagli più minuti della vita quotidiana e attraverso di essi costruisce un piccolo universo che profuma di Giappone autentico.

Ho letto con curiosità, ma anche con una domanda di fondo: cosa pensa un lettore giapponese di un libro così? È come se a noi arrivasse un romanzo in cui si racconta la vita di due commesse Feltrinelli di Bologna che parlano di scaffalature e pause caffè. Lo troveremmo geniale? O penseremmo mah, tutto qui? Mi chiedo se loro, i giapponesi, leggendo questo romanzo si sentano rappresentati o banalizzati oppure offesi. In ogni caso io ne sono rimasta affascinata, perché mi è sembrato di spiare attraverso una porta socchiusa: la burocrazia editoriale, i clienti assurdi, i rituali di cortesia, le pause silenziose, il senso della misura in tutto. Anche nel dolore.

Leggere Le libraie di Kichijoji è stato come sedersi in un kissaten (le vecchie caffetterie giapponesi) a guardare fuori, mentre la città si muove piano. E nel frattempo ascoltare una conversazione tra due donne che hanno deciso di non correre. E di circondarsi di libri. Quasi quasi le invidio.

Lo consiglio? Sì, se siete in cerca di una lettura contemplativa, non troppo impegnativa ma ben scritta. Non aspettatevi una storia che vi tenga svegli la notte. Ma se vi piace l’idea di perdervi in un Giappone da vetrina laterale, fatto di piccoli gesti e silenzi che dicono molto, allora vi piacerà. E poi, magari, vi verrà anche voglia di cercare Kichijoji su Google Maps. Io l’ho fatto. Tre volte.

 

Mini guida per lettori sognatori:

  • Dove si trova Kichijoji? A ovest del centro di Tokyo, accessibile in 15 minuti di treno da Shinjuku. Zona residenziale con anima bohémienne.

  • Cosa vedere? L’Inokashira Park (perfetto per picnic e ciliegi in fiore), il Ghibli Museum (sì, quello!), e tantissime librerie indipendenti, come Paper Wall o Bookends.

  • Da abbinare a questo libro: un tè verde caldo, Waltz for Debby del Bill Evans Trio e la pace dei sensi.

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