Tatà, che succede?

Pubblicato il 26 maggio 2025 alle ore 09:35

Cosa c’è di peggio che tornare a casa dopo una giornata no? Tornare a casa dopo una giornata no e trovare ad aspettarti sul comodino un libro che proprio non ti piace. Come l’ultima freccia nel petto di Boromir, ho capito subito che sarebbe stata un'agonia. Perché, si sa, alla Libreria dei Pini si arriva fino in fondo. Sempre. Una promessa è una promessa, e noi manteniamo. Anche a costo della sanità mentale.

La scorsa settimana ho finito Tatà di Valérie Perrin. E giuro che è stato un castigo degli dèi. Mi ci sono voluti sette giorni. Sette giorni. Più di 600 pagine e io continuo a chiedermi: ma... la storia dov’era? C’era una storia? Perché ho letto, riletto, ho pure controllato di non essermi persa delle pagine. Vi giuro che ad un certo punto ho pensato di essere a C'è posta per te o Carramba che sorpresa: mille scene, personaggi, andirivieni temporali e dettagli che sembrano importanti e poi puff, spariscono nel nulla.

Ho aspettato il colpo di scena fino alla fine e, dopo aver letto l’ultima pagina, mi sono sentita come quando qualcuno ti racconta una barzelletta e tu resti lì, con il sorriso tirato, a chiederti se la parte divertente te la sei persa tu o se semplicemente non c’era.
E proprio mentre stavo per attribuire la colpa alla mia scarsa sensibilità letteraria, è arrivata lei: Daria Bignardi. In un’intervista, parlando in generale di Valérie Perrin, ha usato toni piuttosto decisi – diciamo pure che non gliel’ha mandata a dire. Non ha citato Tatà nello specifico, ma insomma… ho colto il sottotesto. E lì mi sono sentita capita. Finalmente. Come quando sei l’unica sobria a una festa e qualcuno ti guarda e ti fa: “Dai, è tutto assurdo, vero?” E tu annuisci. Forte. Con gratitudine. Grazie Daria.

Ma lasciate che vi spieghi meglio. La scorsa estate avevo letto Tre e non mi era dispiaciuto. Certo, qualche sassolino nella scarpa c’era: anche lì ogni tanto mi perdevo in digressioni che sembravano messe lì tanto per. Ma la storia, alla fine, c’era. In Tatà invece, ho perso completamente la bussola. L’ho finito per principio, per dovere, per rispetto verso quella filosofia stoica che guida i nostri scaffali. Ma che fatica. 

E non voglio nemmeno parlare dell’hype che circonda questo libro. No, anzi, parliamone: maledetta pubblicità. La copertina perfetta, le foto col tè, le caption più convincenti di sempre. E niente, ci casco sempre. Maledetta me. Per fortuna, nel frattempo c’è stato il Salone del Libro a risollevarmi il morale.

Resta il fatto che Tatà per me è stato un grande boh. Uno di quei libri che ti fanno rivalutare la bellezza del silenzio e delle istruzioni della lavatrice. Se a voi è piaciuto, vi prego, spiegatemi. Fatevi avanti, consolatemi. Ho bisogno di condivisione, sostegno e di una lettura che mi faccia davvero dimenticare le brutte giornate, non peggiorarle.

Avete qualche consiglio? Chiedo per una lettrice traumatizzata.

Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.