Sono stata attratta da questo libro un po’ perchè attirata da quel titolo surreale e un po’ punk: Correndo con le forbici in mano. Pensavo: “Ok, sarà una specie di Trainspotting americano, con meno eroina e più psichedelia familiare.” E in effetti è stato tutto questo, ma anche molto di più.
Il romanzo (anzi, memoir, ma ci arrivo) racconta l’infanzia e l’adolescenza di Augusten Burroughs, abbandonato praticamente a se stesso dalla madre, poetessa bipolare, che lo “affida” al suo psichiatra: il dottor Finch. Finch, però, non è lo psicologo tipo che ti immagini con la barba e la pipa, ma una sorta di guru svitato che vive in una casa disfunzionale popolata da figli adottivi, pillole sparse ovunque, cibo scadente, cacca del cane nel soggiorno e messaggi da Dio ricevuti nel water. È una storia che sembra scritta sotto LSD, piena di episodi surreali e comici: Augusten che sogna di diventare parrucchiere per spettacoli di Broadway, la madre che ha crisi mistiche mentre scrive poesie sull’amore cosmico, la famiglia Finch che vive in uno stato di anarchia totale e terapeutica. Ho riso, ma davvero tanto. Mi sembrava di leggere un esperimento letterario alla Bukowski che incontra David Sedaris con un pizzico di Wes Anderson strafatto.
Poi... scopro che è tutto vero.
Memoir. Raga, è un memoir.
Ho dovuto chiudere il libro e guardare il vuoto per un bel pezzo. Tutto quello che avevo letto, dalla madre fuori di testa al frigorifero pieno di ruggine e medicine, fino alle relazioni disturbanti e premature, era reale. Non fiction. Reale. E qui il tono cambia. Perché, dietro all’umorismo nero e alle trovate geniali, c’è un dolore autentico. C’è un ragazzo abbandonato, che cerca disperatamente un senso, un’identità, un rifugio, una voce. E c’è uno scrittore che ha avuto la forza di trasformare quell’infanzia distorta in letteratura vera, sincera, lucida. Incredibilmente potente. Augusten Burroughs ha avuto anche dei guai, dopo la pubblicazione. La famiglia adottiva, i veri Finch (i Turcotte, nella realtà), lo ha denunciato per diffamazione, chiedendo 2 milioni di dollari. La questione si è chiusa con un accordo extragiudiziale, ma Burroughs ha mantenuto la possibilità di continuare a definire il libro “un racconto veritiero di ciò che è accaduto”. Questo la dice lunga sul livello di caos che ha davvero vissuto.
Alla fine, Correndo con le forbici in mano non è solo un libro assurdo, grottesco e spesso esilarante. È anche una testimonianza di sopravvivenza e lucidità, di trasformazione del dolore in qualcosa di tagliente e brillante. È come se Burroughs avesse preso tutte quelle forbici (sì, quelle del titolo), e le avesse usate per tagliare la nebbia, i traumi, la confusione e ne fosse uscito con una voce limpida, unica, inconfondibile. Un memoir come non ne avevo mai letti prima. E dopo, forse, nemmeno.
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