Ho iniziato a leggere Dove vola la polvere piena di aspettative. Dopo Quando le montagne cantano, che per me è stato un colpo di fulmine, speravo di ritrovare la stessa intensità, quella scintilla che ti fa dimenticare che stai leggendo. E invece… non è scattata.
La storia è, come sempre, interessante e importante. Nguyễn Phan Quế Mai ha il coraggio e la delicatezza di portare alla luce pagine dimenticate della storia del Vietnam. Qui si parla dei dust child, i “figli della polvere”. Amerasiatici nati tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 da madri vietnamite e padri americani, spesso soldati di passaggio. Abbandonati, ostracizzati, privi di radici. Un’identità sospesa: “troppo americani” per il Vietnam, “troppo vietnamiti” per l’America.
Una storia che merita di essere raccontata, e su questo non c’è dubbio. Ma, se devo essere onesta, stavolta ho sentito meno coinvolgimento, meno urgenza. L’autrice resta fedele al suo stile – personale e poetico – ma Quando le montagne cantano era la sua storia, e si sentiva. Qui invece sembra più una storia “raccolta”, osservata da fuori e un po’ si perde quella forza emotiva che mi aveva travolta nel suo romanzo precedente.
Non è un brutto libro, anzi. L’ho letto con interesse, ho imparato cose che non sapevo e ancora una volta ho apprezzato la scelta di dare voce a chi non ne ha avuta. Ma mi è mancato qualcosa. E forse è anche colpa mia, delle aspettative e del confronto inevitabile con quello che è poi diventato uno dei miei libri preferiti.
Se non avete letto nulla dell’autrice, vi consiglio di partire da Quando le montagne cantano. Se invece l’avete amata come me, Dove vola la polvere vale comunque la pena – ma preparatevi a un tono diverso, forse meno travolgente, ma sempre necessario.
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