Vuoi stare zitta, per favore? Il racconto al suo meglio

Pubblicato il 18 agosto 2025 alle ore 12:03

Il racconto è una delle forme letterarie che mi piacciono di più: trovo davvero incredibile la capacità di trasportare i lettori in un altro mondo nel giro di poche pagine, se non addirittura di poche parole. È a tutti gli effetti una magia, e Carver è uno di quei maghi che non smettono mai di stupirmi.

Rispetto a Cattedrale, questa raccolta ha un tono decisamente più cupo. Niente carezze, niente consolazioni: qui si scende a capofitto in un’atmosfera lugubre, fatta di malessere e disagio difficile da scrollarsi di dosso. Eppure – anzi, forse proprio per questo – ne sono rimasta abbagliata. Perché Carver ci mette davanti spaccati di vita talmente realistici che sembra di ri-conoscere i personaggi: potrebbero essere i vicini, gli amici, o magari noi stessi (ma meglio non indagare troppo, eh).

Quello che mi colpisce sempre è la semplicità con cui Carver riesce a far emergere le crepe, le fragilità, i silenzi che abitano le relazioni quotidiane. Non c’è nulla di artificioso: ogni dettaglio, ogni frase sembra vibrare di autenticità, ed è proprio in questo che sta la sua forza.

Mi riesce difficile capire perché in generale si sia così reticenti nei confronti del genere del racconto: forse perché si pensa che la brevità non consenta lo stesso coinvolgimento del romanzo, o perché si teme di “restare a metà”. Ma se c’è un autore che smentisce questa diffidenza, è proprio Carver. Le sue storie sono tagli netti, lampi che rischiarano per un istante e poi lasciano il lettore con addosso un’inquietudine che dura molto più a lungo della lettura stessa. 

Vuoi star, zitta per favore? non è certo il libro da consigliare a chi cerca coccole e finali consolatori. Anzi, qui si esce con le ossa un po’ ammaccate e l’umore scosso. Ma è proprio questo il bello: Carver non ci fa accomodare sul divano con una coperta addosso, ci scaraventa piuttosto sul pavimento freddo di una cucina americana anni Settanta e ti lascia lì, a fissare il soffitto in mezzo su di un tappeto sbiadito e polveroso. E se non è letteratura questa, ditemi voi cos’è.

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