Quando qualche anno fa al mercatino dell’usato ho finalmente trovato Good Omens a pochi euro, ero in un brodo di giuggiole: due autori che adoro, insieme, in un unico libro. Cosa poteva andare storto?
Beh… praticamente tutto. O meglio, non proprio tutto, ma diciamo che mi aspettavo fuochi d’artificio e mi sono ritrovata davanti a una scatola di stelline di Capodanno, quelle che si spengono dopo due secondi.
Il libro è un tripudio di trovate assurde, giochi di parole, ironia british che più british non si può. E qui arriva il problema: di solito con queste cose io vado a nozze, rido come una matta e mi affeziono subito ai personaggi. Invece stavolta non è successo. Ci sono state scene che mi hanno strappato un sorriso, certo, ma niente che mi facesse pensare “non riesco a staccarmi da queste pagine”.
Anzi, più andavo avanti più mi trovavo a domandarmi: “E se l’avessi letto a sedici anni?” Forse allora sarei stata travolta dall’entusiasmo, dalle trovate surreali, dall’idea stessa di un’Apocalisse raccontata con questo tono dissacrante. Oggi, invece, la sensazione è stata un’altra: mi ha fatto sentire… vecchia. Non capita spesso che un libro mi faccia questo effetto, ma qui sì. Troppo adulta per certi giochi narrativi, troppo poco indulgente per certe lungaggini.
Eppure, attenzione: non sto dicendo che sia un brutto libro. Le idee ci sono eccome, l’assurdo pure, e il tocco di Gaiman e Pratchett si sente, inconfondibile. Solo che io e Good Omens non ci siamo innamorati. Fine della storia.
Mi resta però la curiosità per la serie tv: magari sullo schermo funziona meglio che su carta!
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