Come ho fatto a non leggere questo colosso della letteratura italiana fino ad ora? Ottima domanda. Forse potrei dirvi che il suo nome mi ha sempre spaventata un po’. E vi dirò di più: essere valsusina e non essere mai andata a visitare la Sacra di San Michele, simbolo del Piemonte e ispirazione per l’abbazia del romanzo, merito solo l’esilio.
Appurato che sono davvero una brutta persona, ho deciso di rimediare ai miei errori: sono finalmente salita sul monte Pirchiriano, dopo aver letto finalmente Il nome della rosa! Mi sono sentita un po' un'eroina, snif!
La vista della Sacra è mozzafiato, un momento impressionante che mi ha fatto rivivere l’ambientazione del libro: corridoi stretti, scale che si incrociano, stanze che si aprono su altre stanze. È davvero un labirinto! Non è facile mantenere il senso dell’orientamento (in realtà lo dico per banfare, si sono dimenticati di mettermi il gps alla nascita, potrei perdermi in una piazza, ahahah!).
Sappiatelo: la ricchissima biblioteca che Eco descrive è pura invenzione, quindi evitate di rimanerci male quando entrerete in uno stanzino con un solo esemplare originario della Sacra (gli altri due sono conservati altrove). Ma poco importa, perché nella mente di Eco la biblioteca diventa un simbolo: il luogo del sapere, del mistero e del potere, un labirinto di conoscenza dove perdersi è quasi inevitabile.
Tra le pagine ho amato la voce di Guglielmo da Baskerville, che con la sua logica e la sua curiosità sembra un Sherlock Holmes in tonaca, e ho trovato irresistibile il modo in cui Eco intreccia filosofia, fede, ironia e suspense. Nonostante la fama di libro “difficile”, si legge con grande piacere: a tratti è un giallo, a tratti un trattato, ma soprattutto è un viaggio dentro l’intelligenza e la meraviglia del pensare.
Detto ciò, mi pare scontato dirvi quanto mi sia piaciuto leggere il libro e che adesso ho nella lista dei desideri tutti i libri di Eco.
Anche se, lo ammetto, spero che il prossimo non mi costringa a un pellegrinaggio in montagna. Uno alla volta, Umberto. Uno alla volta.
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